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Un portale a cura di Marco Ilardi

O mastrogiorgio

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Sulla figura di Mastro Giorgio – o, secondo la dizione corrente Mastroggiorgio o Mastuggiorgio -, il classico infermiere di manicomio, energico, autoritario, dispotico con gli ammalati, secondi i sistemi di cura della pazzia in uso a Napoli nei secoli XVI e XVII, E.Buonocore pubblicò uno studio (Mastrogiorgio nella storia della cura della pazzia, Napoli 1907) nel quale, con argomenti spesso claudicanti, cercava di identificare il personaggio con un certo Giorgio Cattaneo, che avrebbe imperversato nel nosocomio napoletano appunto tra la fine del XVI e gli inizi del XVII secolo.

Benché l’identificazione supposta dal Buonocore sia però tutt’altro che dimostrata, sembra probabile che all’origine del termine – oggi sinonimo di “prepotente”. “arrogante” – fosse effettivamente una persona reale.

Tanto più che proprio a partire dal XVII secolo diventano frequentissimi, nella letteratura dialettale popolare napoletana, i riferimenti non solo a Mastro Giorgio come a persona determinata, ma anche e soprattutto ai singoli metodi di cura che – perché inventati da lui, o da lui applicati con particolare energia – lo avrebbero reso celebre.


Tali metodi si fondavano sulla presunzione che la pazzia fosse la conseguenza della concentrazione di troppa forza nei centri nervosi degli ammalati.

Perciò, allo scopo di estenuarli fisicamente, questi erano anzitutto costretti a girare una pesantissima ruota per attingere l’acqua da un profondo pozzo, poi ancora – prima, durante e dopo quello sforzo – dovevano subire energiche dose di nerbate; infine, per ragioni non chiare (forse per evitare conseguenze troppo gravi ad una così violenta cura), erano costretti a trangugiare cento uova fresche, che avrebbero dovuto ridare a quei disgraziati il senno perduto.

Di questi assurdi sistemi si trovano echi frequenti nella letteratura dialettale napoletana, specialmente del Seicento. Alla terapia completa fa cenno, ad esempio, il Valentino (in un passo che non mi è riuscito di rintracciare, citato da Croce nella sua traduzione del Pentamerone II, p.17 – senza indicazione bibliografica) in cui fa dire a un tale che ritenuto pazzo era stato ricoverato all’Ospedale degli Incurabili:

“Votaje la rota comm’a tutte l’àute, / Me magnaje le cinetovacomm’è sòleto, / La porzione avette de le bàcole (=”bastonate”)”

Senza entrare in dettagli, ma con esplicito riferimento a Mastro Giorgio, accenna ancora a quella singolare terapia il Lombardi, nell’arragliata IX = canto IX, 28) della sua gustosa Ciucceide. Parlando della presunta pazzia di Alessandro Magno, il poeta dichiara:

«pe ste mmalinconie nce vò chell’uorgio / Che sta a la Speziaria de Masto Giorgio», cioè “occorrono i medicamenti che Mastro Giorgio pratica ai suoi ammalati”. Ancora il Cortese (Viaggio di Parnaso, VII, 36): «Ma chesta tene ognuno ch’è pazzia / E dice: – A lo spetale, o poveriello! /……/Vago a tant’aute terre, e ognuno dice: / – Va piglia le cient’ova, ommo ‘nfelice! »; il Basile (Pentamerone, III, 2): «non s’averria creduto maje che lo frate…cercasse de darete no paro d’ova sciacque, dov’isso n’aveva abbesuogno de ciento fresche…», ecc.


Non è possibile, per ovvie ragioni di spazio, abbondare come si vorrebbe con gli esempi, numerosissimi. Non può tuttavia tacersi un caso di sopravvivenza nel linguaggio tuttora corrente del ricordo di quelle assurde cure praticate agli alienati.

È nel noto proverbio: “Tanto rutaro i pazze, che ghiettrarono a Mastuggiorgio dint’ ‘u puzzo”, cioè “tanto si dettero da fare, tanto si industriarono, che riuscirono a gettare Mastro Giorgio nel pozzo” (rutaro, forma spocopata di rutarono, perfetto di ruta’ = “ruotare”, “girare”, nel senso qui di “concentrare tutti gli sforzi su un obiettivo da raggiungere”): dove è chiaro il riferimento al pozzo la cui ruota essi dovevano girare.

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