Stongo cu ‘e pacche dinto’a ll’acqua è una espressione un po’ colorita che si usa ancora oggi a Napoli che pronuncia una persona quando si trova in difficoltà finanziarie.
Ci sono varie interpretazioni sul perché si dica in questo modo quando si è indebitati.
La prima interpretazione è quella che una volta la categoria più miserevole, il mestiere che si faceva quando si era proprio obbligati a fare per non finire sul lastrico era quella del pescatore, un mestiere molto faticoso, una vita di notte in mezzo al mare alle intemperie e soprattutto coi pantaloni sempre bagnati nel tirare le reti, quindi con il sedere praticamente sempre in acqua.
La colonna infame della Vicaria: mannaggia a culonna ‘nfame
Un altra origine di questo modo di dire è legata anche ad un altra espressione molto usata a Napoli, mannaggia a culonna ‘nfame.
Una volta la zona della Vicaria era quella dove venivano puniti tutti i malfattori ed eseguite le principali esecuzioni pubbliche come ad esempio quella di Giuditta Guastamacchia.
In quel piazzale dove oggi sorge Castel Capuano chi finiva sul lastrico e non pagava i propri debiti, veniva esposto alla gogna pubblica sopra una piccola colonna col sedere esposto al pubblico ed un gendarme che glielo lavava tra lo scherno dei passanti: il malcapitato si trovava quindi con il sedere nell’acqua, che pacche int ‘all’acqua appunto.
I suoi vestiti venivano divisi tra i creditori ed era oggetto di sputi sollazzi insulti da parte della gente che gli tiravano di tutto da monete ad ortaggi di ogni genere.
L’unica cosa che poteva dire era Cedo Bonis ossia vi lascio tutti i miei beni, una sorta di giuramento verso i suoi creditori e, guardando il luogo in cui era finito, pieno di vergogna, non aveva altro che maledire quella colonna dicendo appunto mannaggia a culonna ‘nfame.
La colonna è attualmente conservata nell’androne delle carrozze del Museo di San Martino senza alcuna spiegazione relativa a questo simpatico episodio storico.