Il protagonista di quest’articolo è Pino Daniele: mito e leggenda di quello che è stato battezzato come blues napoletano o partenopeo. L’arte si manifesta al mondo in molteplici forme: scultura, architettura, pittura, musica; e ogni tipo di arte per poter esistere ha bisogno di avere come basi creatività e genio. E se si parla di musica, in particolare a Napoli, genio e creatività non possono che portare a pensare all’immortale Pino Daniele. Napoli è sempre stata, nei secoli, la porta principale da cui arrivavano le maggiori novità artistiche dei tempi: il blues ne è la conferma. Questo stile musicale arriva in terra Borbonica durante il periodo della Seconda Guerra Mondiale, con gli sbarchi dei soldati americani che – tra le varie sfaccettature della propria cultura – hanno introdotto da noi anche la musica afro, lo swing e il jazz. Chi l’avrebbe mai detto che, anni dopo, sarebbe stato proprio Pino Daniele a trasformarlo in uno dei tanti tratti distintivi della città partenopea? Scopriamo di più tra i paragrafi di quest’articolo.
La storia di Pino Daniele
Pino Daniele, nato il 19 marzo 1955 a Napoli, è stato un’icona della musica italiana, un virtuoso chitarrista e cantautore che ha lasciato un’impronta indelebile nel panorama musicale. Cresciuto nel quartiere popolare di Napoli, la sua passione per la musica si è sviluppata fin da giovane, ispirata dal suo amore per il blues, il jazz e la tradizione musicale partenopea. Cantautore, chitarrista e compositore, Pino si lascia influenzare dai generi musicali più particolari nati in America: il jazz, il rock e il blues. Sarà soprattutto con quest’ultimo genere che Pino sperimenterà parecchio, mescolandolo con enorme maestria alla musica napoletana, proprio come un mago fa con le sue pozioni. Nel 1976 entra come bassista nel gruppo musicale Napoli Centrale ed è qui che riesce ad entrare in contatto con James Senese, cantautore e sassofonista che influenzerà la crescita e la cultura musicale di Pino.
Grazie a lui, infatti, debutterà come solista nel ’77 con l’album Terra Mia, nel quale è già possibile scorgere l’intento principale di Pino: rendere la musica napoletana internazionale. In quest’album, uno dei più importanti dell’artista, si trovano i suoi capolavori più emblematici della sua intera discografia: Terra mia, ‘Na tazzulella ‘e cafè, Napule è; quest’ultima canzone, forse la più conosciuta e nota dal mondo intero, è stata scritta da Pino a soli diciotto anni. Nei decenni successivi, Pino ha continuato a evolversi, spaziando tra generi come il pop, il rock e il blues, collaborando con artisti internazionali e consolidando il suo status di icona. Il culmine della sua carriera arrivò negli anni ’80 con album come “Nero a Metà” e “Pino Daniele”, che divennero colonne sonore della vita di molte persone.
Il suo stile inconfondibile, unito alla sua voce appassionata, lo ha reso un simbolo della musica italiana di qualità. Nel 2015, a soli 59 anni, Pino Daniele ci ha lasciati prematuramente. La sua morte ha scosso il mondo della musica e i suoi numerosi fan, lasciando un vuoto difficile da colmare.
La sua eredità, tuttavia, vive attraverso le sue timeless canzoni che continuano a ispirare e commuovere, confermando Pino Daniele come un artista senza tempo e un’icona indimenticabile della musica italiana. Pino Daniele è stato uno dei più grandi musicisti della musica napoletana, nonché il mio cantante preferito. Ho cominciato a suonare la chitarra grazie a lui: Quanno chiove è stata la prima canzone che ho imparato a suonare.
Pino Daniele è stato un cantautore, chitarrista e compositore italiano, nato a Napoli il 19 marzo 1955 e morto a Roma il 4 gennaio 2015. È stato uno dei maggiori rappresentanti della musica popolare italiana, in particolare della cosiddetta “canzone napoletana d’autore”, con influenze che spaziavano dal jazz al blues, dal funk al rock.
Pino Daniele ha cominciato a suonare la chitarra all’età di undici anni, e si è subito appassionato al blues e al rock.
Fin da piccolo, Pino Daniele dimostrò una grande passione per la musica, ascoltando dischi e imparando a suonare la chitarra da autodidatta. Tuttavia, la sua famiglia non era particolarmente benestante, e Pino dovette fare i conti con le difficoltà economiche e sociali del quartiere in cui viveva.
Ad un certo punto della sua vita andò addirittura a vivere a casa di due sue zie nella piazzetta antistante al Complesso di Santa Maria La Nova, che lo accudirono amorevolmente.
Nonostante ciò, Pino Daniele ha raccontato che la sua infanzia è stata felice e serena, caratterizzata dalla presenza dei fratelli e dalla vita semplice e spontanea del quartiere.
In un’intervista, ha dichiarato: “Io venivo da una famiglia numerosa e modesta, ma abbiamo sempre avuto il cibo sulla tavola e l’affetto dei nostri genitori. Ho avuto un’infanzia felice, giocando a calcio, inventando canzoni con i miei fratelli e andando al mare d’estate”.
Inoltre, la musica è stata una fonte di ispirazione e di sostegno per Pino Daniele, che ha trovato nella sua passione un modo per esprimere la propria creatività e per superare le difficoltà della vita.
La sua infanzia e la sua famiglia sono stati dunque un elemento fondamentale nella formazione dell’artista e nella sua sensibilità musicale.
Pino aveva un carattere non facile, era un po’ scorbutico come diceva lui stesso ma aveva un gran cuore.
Nel 1975, a vent’anni, ha pubblicato il suo primo album, intitolato “Terra mia”, che ha ottenuto un grande successo di pubblico e di critica. Il disco presentava un sound innovativo e originale, che univa la tradizione musicale napoletana alle sonorità del rock e del jazz.
Negli anni successivi, Pino Daniele ha continuato a pubblicare numerosi album, consolidando la sua fama di artista completo e versatile. Tra i suoi lavori più importanti si possono citare “Nero a metà” (1980), “Common Ground” con Richie Havens (1998), “Medina” (2001), “Il mio nome è Pino Daniele e vivo qui” (2003), “Ricomincio da 30” (2008), “Boogie Boogie Man” (2010) e “La grande madre” (2012).
Non so voi ma il mio preferito resta il suo album omonimo Pino Daniele pubblicato nel 1979, un opera d’arte secondo me.
La chitarra è sempre stata lo strumento principale di Pino Daniele, che ha sviluppato un suo stile personale, caratterizzato da un suono pulito e cristallino, ma anche da una grande energia e passione. Inoltre, ha spesso suonato altri strumenti, come il basso, la batteria e il pianoforte, dimostrando una grande abilità tecnica e musicale.
Ha sempre amato questo strumento pur senza affezionarsi troppo, mitica la sua Paradise, una delle chitarre più belle che io abbia mai visto.
Con la Paradise è stato anche immortalato nella strada che gli hanno dedicato a Napoli dopo la morte.
Cominciò proprio con il basso perché James Senese cercava un bassista per il suo gruppo e Pino pur di cominciare si adattò anche a questo ruolo, non avendo neanche i soldi per comprare il basso.
Prima degli spettacoli di James spesso apriva i concerti cominciando a far sentire la sua musica.
Tra le canzoni più famose di Pino Daniele si possono citare “Napule è”, “Quando”, “Sara”, “Je so’ pazzo”, “Nero a metà”, “Sotto ‘o sole”, “Yes I Know My Way”, “Invece no”, “Pigro”, “Vento di passione”, “Je sto vicino a te” e “A me me piace ‘o blues”. La sua musica è stata apprezzata sia in Italia che all’estero, e ha contribuito a rinnovare e arricchire la tradizione musicale italiana.
Mitico è rimasto a Napoli il suo concerto a Piazza Plebiscito del 1981 che radunò ben duecentomila persone. Peccato che ero troppo piccolo all’epoca ma ci sarei andato molto volentieri.
La stessa folla si è poi radunata nella stessa piazza nel giorno dei suoi funerali.
Ho avuto modo di conoscere molti aneddoti di Pino Daniele avendo tra i miei clienti il suo miglior amico d’infanzia Gino Giglio, che mi ha anche regalato un suo autografo che custodisco gelosamente.
Peccato averlo conosciuto dopo la morte di Pino, perché era solito andarlo a trovare spesso nei suoi uffici e confesso di aver provato una certa emozione sedendomi su quel divano dove lui era solito chiacchierare con Gino e prendere con lui ‘na tazzulella e cafè.
La morte di Pino è stato per me un evento molto doloroso come quella di Massimo Troisi.
Per tanti anni non ho più ascoltato le sue canzoni ho ripreso da poco mi davano troppo dolore.
L’unica mia consolazione è averlo visto per un ultima volta a dicembre poche settimane prima che morisse nel suo ultimo concerto napoletano al Pala Partenope.
Il blues partenopeo
È verso la fine degli anni Settanta, con il debutto dell’album Pino Daniele, che il cantautore napoletano offre le premesse alla musica napoletana di entrare a far parte di un contesto musicale molto più vasto e meno di nicchia. Con quest’album Pino è pronto a distaccarsi il più possibile dalle precedenti influenze prettamente napoletane, per abbracciare un genere ancora troppo poco ascoltato e apprezzato nel nostro paese: il blues. Gli anni Ottanta saranno inaugurati da un susseguirsi di esordi che inizieranno a scemare solo dopo vent’anni; nel frattempo Pino scrive nuovi singoli, come Quando, Yes I Know My Way, Je so’ pazz, pubblica album come Nero a metà, Vai mo’, Sotto ‘o Sole e apre concerti di star internazionali, come quello di Bob Marley a Milano nel 1980. Sarà un ventennio pieno di concerti di fronte a decine di migliaia di persone, di album accolti molto positivamente nel mondo della musica, ma soprattutto di successi e amicizie profonde come quella con Massimo Troisi per il quale ha scritto il capolavoro Quando, presente nel celebre film Pensavo fosse amore… invece era un calesse.
Che cos’è il blues?
Il blues nasce e si sviluppa negli Stati Uniti d’America, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, contemporaneamente ad un altro genere musicale oggi molto noto, il jazz. Le sue origini si trovano nei canti delle comunità di schiavi afroamericani che lavoravano nelle piantagioni dell’America meridionale; questo genere conobbe un successo così grande nei decenni a seguire tanto da influenzare la nascita della musica pop e di altri generi moderni, come il rock and roll. Blues non è un nome che è stato scelto a caso per questo genere: viene da to have the blue devils (avere i diavoli blu), che significa vivere in uno stato di tristezza, angoscia e agitazione. Ma tornando ancor più indietro nel tempo, circa al Seicento, la parola blue veniva usata per indicare chi era ubriaco e denominava anche le leggi che vietavano la vendita di alcolici ogni domenica, le blue laws. In seguito, queste due connotazioni sono state poi unite, indicando che il musicista o cantante blues era solito cantare per scacciare via i blues, appunto scacciare via i suoi malumori. Il blues ha quindi un’origine popolare: dalle piantagioni di schiavi, alla guerra di secessione, fino all’abolizione della schiavitù in America. Questo genere musicale è stato il portavoce di uno sfogo di frustrazione e malcontento di generazioni di lavoratori-schiavi strappati via dall’Africa per sopravvivere in America. Quella del blues è un’espressione artistica che ha origine nelle esperienze e nelle sofferenze della comunità afroamericana, fungendo da voce per raccontare le gioie e le pene della vita quotidiana. Caratterizzato da un’intensa emotività, il blues si distingue per la struttura musicale di base di dodici misure e l’uso di note bluesy, che aggiungono quel carattere malinconico e struggente. La chitarra, l’armonica, il pianoforte e la voce spesso lamentosa sono strumenti chiave per esprimere il profondo sentimento di tristezza, ma anche di speranza, che permea il genere. Il blues ha influenzato molti generi musicali successivi, dal rock al jazz, diventando un pilastro della cultura musicale americana e globale. La sua essenza risiede nella capacità di trasmettere emozioni autentiche e universali, creando un legame tangibile tra l’artista e l’ascoltatore.
Il padre del blues: W.C. Handy
È ad Alabama nel 1873 che nasce colui che si considererà il padre del blues: William Christopher Handy, che modificherà continuamente il genere fino a farlo diventare come noi lo conosciamo oggi. Da sempre appassionato e propenso verso la musica, William comprerà già da piccolo con i suoi risparmi la sua prima chitarra, per poi finire a suonare la cornetta in un gruppo locale. Il suo operato sarà di enorme importanza, perché la sua musica blues salperà alla volta dell’Europa, influenzando i maggiori compositori e musicisti del continente.
Perché Pino Daniele è considerato un icona di Napoli e del blues?
Pino Daniele è considerato un’icona di Napoli e del blues grazie alla sua abilità unica nel fondere le radici della tradizione musicale partenopea con il linguaggio del blues, creando un connubio eclettico e coinvolgente che ha conquistato il pubblico nazionale e internazionale. Cresciuto tra le strade vivaci di Napoli, Daniele ha assorbito le influenze sonore della sua città natale, mescolando la melodia delle canzoni napoletane con il ritmo e l’anima malinconica del blues. La sua musica è stata permeata da un profondo senso di appartenenza alla sua terra, trasmettendo le sfumature e le contraddizioni della vita napoletana attraverso testi poetici e melodie avvolgenti. Pino è riuscito a dare voce alle emozioni autentiche della sua città, diventando così un punto di riferimento per i napoletani che si identificano nelle sue canzoni, le quali narrano storie di amore, dolore, e la vita quotidiana caratteristica di Napoli. Il legame con il blues, invece, ha consentito a Pino Daniele di allargare il suo pubblico a livello internazionale. La sua maestria nell’interpretare il blues con una sensibilità mediterranea ha reso la sua musica un ponte tra le tradizioni musicali del sud degli Stati Uniti e quelle della Napoli multiculturale. La sua chitarra virtuosa e la voce appassionata hanno catturato l’attenzione di un vasto pubblico, contribuendo a definire il suo status di artista globale. Pino Daniele, con il suo talento unico nel fonde tradizioni musicali distanti, è diventato così una figura di spicco nell’ambito della napoletanità in musica e una voce inconfondibile nel panorama del blues internazionale, lasciando un’impronta indelebile che continua a influenzare generazioni di ascoltatori.
Cos’hanno in comune Napoli e il blues?
Napoli e il mondo del blues condividono una connessione profonda attraverso le esperienze umane e l’espressione delle emozioni mediante l’ausilio della musica. Entrambi i contesti musicali traggono ispirazione dalle sfumature della vita, dalle gioie e dai dolori, creando una narrazione sonora autentica e appassionante. La Napoli di Pino Daniele è una città ricca di contraddizioni, una realtà multiculturale e caotica che si riflette nelle sue canzoni. Il blues, analogamente, è nato nei campi di cotone del sud degli Stati Uniti come espressione di sofferenza, ma anche come mezzo di resistenza e liberazione. Entrambi i contesti musicali trattano le tematiche della vita quotidiana, dell’amore e della fatica, creando un terreno comune di identificazione per gli ascoltatori. Pino Daniele è riuscito a catturare l’anima del blues, reinterpretandolo con una sensibilità mediterranea e napoletana. La malinconia di questo genere musicale si fonde con le storie che raccontano delle vite dei quartieri di Napoli, creando un’esperienza musicale unica che risuona forte come un tamburo nei cuori dei napoletani. Le sonorità della chitarra di Pino Daniele e la sua voce appassionata trasmettono un senso di appartenenza e autenticità, permettendo ai napoletani di riconoscersi nelle sue canzoni come se fossero un riflesso della loro stessa vita. L’analisi della storia dei Napoletani evidenzia una serie di parallelismi con le esperienze degli schiavi afroamericani, in particolare per quanto riguarda le sfide socio-economiche e l’emigrazione in cerca di una vita migliore. La disparità tra Nord e Sud Italia, la povertà e la mancanza di opportunità nel Meridione hanno spinto molte persone, tra cui numerosi napoletani, a cercare fortuna altrove, compresi gli Stati Uniti d’America. L’emigrazione napoletana verso gli USA, spesso in cerca di lavoro e prosperità, ha creato una connessione culturale e spirituale tra la comunità napoletana e la storia degli afroamericani. Entrambi i gruppi hanno sperimentato la sofferenza, la lotta contro le discriminazioni e la ricerca di una vita migliore in un contesto particolarmente ostile. Il blues, essendo una forma d’arte nata dalle profonde ferite della segregazione e dell’ingiustizia, riesce a risuonare perfettamente con le esperienze dei napoletani, creando un legame empatico attraverso il linguaggio universale della musica. La malinconia del blues cattura le sfumature della vita dei napoletani, trasmettendo un senso di struggente nostalgia e speranza. Pino Daniele, con la sua abilità nel fonderle le tradizioni musicali, è riuscito a trasformare il blues in un veicolo espressivo per raccontare la storia e l’anima di Napoli. Le sue canzoni, intrise di pathos e autenticità, permettono ai napoletani di riconoscersi nelle proprie radici e di condividere un senso di appartenenza capace di rendere la musica di Pino Daniele un potente mezzo di connessione e comprensione tra le diverse esperienze di sofferenza e resilienza.