Il modo di dire “Me pare ‘o ciuccio ‘e Fechella!” è una delle espressioni più divertenti e ironiche del dialetto napoletano, ancora oggi molto diffusa nell’area vesuviana.
Nato quasi un secolo fa, il detto è sopravvissuto al passare del tempo, attraversando generazioni e mantenendo la sua vivacità e il suo significato nel linguaggio quotidiano. Ma qual è il vero significato dietro questa espressione e in quali contesti nasce il suo utilizzo?
Il Significato di “‘O Ciuccio ‘E Fechella”
“‘O ciuccio ‘e Fechella” si riferisce a una persona cagionevole, spesso soggetta a malesseri e acciacchi che ne impediscono l’operatività. L’espressione viene usata per descrivere qualcuno che, a causa delle sue continue lamentele o delle condizioni di salute precarie, rappresenta un fastidio per amici e parenti, che devono occuparsi di parte o di tutto il suo lavoro.
In pratica tutte le persone che parlano sempre di propri guai o di malattie anche di poco valore si meritano come risposta “Me pare o ciuccio e fechella”
La Storia dietro al detto napoletano
Ma chi era Fechella e perché il suo asino è diventato protagonista di un modo di dire tanto noto? Fechella era il soprannome scherzoso di Domenico Ascione, noto come don Mimì, originario di Torre del Greco.
Tra il 1928 e il 1930, don Mimì utilizzava un vecchio somaro malconcio per trasportare derrate alimentari nella zona del Rione Luzzatti, un quartiere popolare di Napoli.
Il povero asino, ormai debilitato e carico di piaghe, rappresentava un simbolo di fatica e sfinimento. La sua schiena piegata e la coda marcita ne facevano un’immagine emblematica di stanchezza e resistenza.
Differenza tra l’Asino e la Persona
Il paragone tra l’”‘o ciuccio ‘e Fechella” e le persone a cui il detto viene riferito è significativo. Mentre l’asino, nonostante il carico e la sofferenza, continuava a lavorare senza lamentarsi, chi viene definito “‘o ciuccio ‘e Fechella” spesso si mostra lamentoso, abbattuto e incapace di affrontare le difficoltà con lo stesso spirito. È questa differenza a rendere l’espressione ironica e pungente, evidenziando la discrepanza tra il sacrificio silenzioso dell’animale e l’atteggiamento del soggetto umano.
Le Varianti del Detto
Nella tradizione popolare, il detto ha conosciuto anche varianti e interpretazioni curiose. Alcuni racconti attribuiscono al famoso asino una connessione con una figura femminile, identificata come una “Fichella”, piccolo fico, in riferimento alla debolezza fisica e al suo stato di salute precario.
Mia nonna ad esempio diceva me pare o ciuccio e zi’ fechella, quindi ci metteva all’interno anche la parola zio.
In ogni caso, il detto conserva la sua funzione di richiamare l’attenzione sulla fragilità e l’inadeguatezza del soggetto descritto.
Il Legame con il Calcio Napoli
Il detto “‘O ciuccio ‘e Fechella” è anche legato alla storia del Calcio Napoli. Nel 1927, a seguito di un campionato deludente, i tifosi più accaniti si riunivano al Bar Brasiliano, esprimendo il loro sconforto verso la squadra con l’espressione “sta squadra nosta me pare ‘o ciuccio ‘e Fechella: trentatré piaghe e ‘a coda fraceta”.
L’ironia della battuta portò a sostituire il cavallino rampante, simbolo originario del Napoli, con un asinello malridotto, che divenne la mascotte ufficiale della squadra, identificando un legame con il carattere combattivo e l’autoironia dei napoletani.
Conclusione
“Me pare ‘o ciuccio ‘e Fechella!” è molto più di un semplice modo di dire: rappresenta uno spaccato della cultura napoletana, un mix di ironia, resilienza e capacità di trasformare la sofferenza in qualcosa di raccontabile e condiviso.
Il suo uso resta vivo e testimonia la ricchezza della tradizione linguistica partenopea, capace di raccontare storie e significati che vanno oltre le semplici parole.