La figura del pazzariello è una delle più affascinanti e caratteristiche della cultura popolare napoletana. Questo personaggio pittoresco, artista di strada per eccellenza, è emblema dell’arte dell’arrangiarsi e della creatività che ha sempre contraddistinto il popolo partenopeo. Tra proclami ironici, danze esuberanti e abiti vistosi, il pazzariello ha segnato profondamente l’immaginario collettivo, divenendo simbolo di una Napoli antica, colorata e gioiosa.
Chi era il Pazzariello?
Per comprendere il pazzariello, dobbiamo tornare indietro nel tempo, alla Napoli di fine Settecento e Ottocento, fino alla metà del Novecento. In un’epoca in cui la povertà e il bisogno erano parte integrante della vita quotidiana, chi non trovava un’occupazione tradizionale si reinventava, spesso trasformando l’intrattenimento in un mestiere. È in questo contesto che nasce il pazzariello: un giullare di strada, un imbonitore con il compito di attirare l’attenzione del pubblico per promuovere prodotti, botteghe e cantine.
Vestito in modo estroso, con una divisa ispirata all’uniforme borbonica – comprendente feluca, spadino e una fascia tricolore – il pazzariello era una figura magnetica. Accompagnato da un’orchestrina di strumenti popolari come il triccheballacche, il putipù e lo scetavajasse, il suo spettacolo era una miscela di proclami ironici, balli e canzoni.
La sua arte non si limitava a pubblicizzare merci: il pazzariello era anche un intrattenitore, capace di regalare sorrisi e momenti di spensieratezza in una città spesso segnata da difficoltà economiche. La sua figura era legata a stretto giro con quella degli scongiuri e della scaramanzia napoletana.
Il Ruolo del Pazzariello nella Società Napoletana
Il pazzariello non era solo un artista di strada, ma anche un elemento fondamentale del commercio locale. Solitamente ingaggiato da commercianti o bottegai, aveva il compito di promuovere l’apertura di negozi, la vendita di nuovi prodotti o particolari promozioni. Con il suo stile unico, annunciava l’arrivo del vino nuovo o il ribasso dei prezzi della pasta, attirando folle con il suo carisma e la sua ironia.
Le sue filastrocche e i suoi proclami erano spesso conditi da esagerazioni scherzose, ma sempre con un tocco di verità. Un esempio celebre è il suo annuncio tipico:
“Uommene e femmene, gruosse e piccerille, nobele e snobele, ricche e puverielle, int’’o vico… s’è aperta una cantina nova, attaccata a ‘o pustiere, de rimpetto a ‘o pizzaiuolo, addò se venne ‘o vino ‘e Gragnano, e ‘o russo d’’o Vesuvio a duie grana ‘a caraffa… attenzione, battaglione, è asciuto pazzo ‘o padrone.”
Il pazzariello era una figura presente anche durante sagre e feste di paese, dove il suo ruolo era quello di animare le aste popolari. Oggetti di poco valore venivano trasformati in tesori ambiti grazie alla sua capacità di coinvolgere il pubblico e rendere ogni evento un vero e proprio spettacolo.
Tra Imbonitore e Showman
La forza del pazzariello risiedeva nella sua straordinaria capacità comunicativa. Dotato di una voce potente e di un’innata verve comica, era un maestro nel catturare l’attenzione dei passanti, trasformando ogni strada e vicolo in un palcoscenico. La sua figura può essere considerata un’antesignana degli odierni pubblicitari e degli animatori di eventi, dimostrando come l’arte di vendere e intrattenere sia stata una costante nella storia napoletana.
Ma il pazzariello non era solo un uomo di spettacolo. Era anche un portatore di messaggi sociali e culturali, capace di mescolare ironia e verità in un linguaggio accessibile a tutti. Non a caso, molte delle sue performance riflettevano le contraddizioni della società napoletana, oscillando tra comicità e malinconia.
La Decadenza di una Tradizione
Con l’avvento della modernità e il progressivo cambiamento delle dinamiche sociali ed economiche, la figura del pazzariello iniziò a scomparire. Già negli anni Cinquanta, il suo ruolo era relegato a un ricordo nostalgico. Il risanamento urbanistico, che trasformò i quartieri popolari, contribuì ulteriormente a cancellare i contesti in cui questa figura poteva esprimersi.
Giovanni Artieri, nel 1955, descrisse con malinconia la scomparsa del pazzariello, insieme ad altre “maschere” popolari di Napoli, come i filosofi da strada Pimpinella e Baccalà. Questa perdita segnò il tramonto di un’epoca in cui la cultura popolare aveva un ruolo centrale nella vita quotidiana.
Il Pazzariello nell’Arte e nella Cultura
Nonostante la sua scomparsa dalle strade, il pazzariello ha lasciato un’impronta indelebile nella cultura napoletana. È stato celebrato da Raffaele Viviani, che gli dedicò una splendida poesia nel 1908, e immortalato nel cinema grazie all’interpretazione di Totò nel film L’Oro di Napoli.
La sua immagine – quella di un uomo vestito in modo sgargiante, con la feluca e il bastone nero del comando – è diventata iconica, simbolo di un passato ricco di folklore e vitalità ed è presente anche sul presepe napoletano.
Viviani, in particolare, catturò l’essenza del pazzariello nella sua poesia, descrivendo con ironia e affetto i suoi proclami e le sue interazioni con il pubblico. L’annuncio dell’apertura di una macelleria, ad esempio, diventa l’occasione per scherzare sui bottegai, lodare la qualità dei prodotti e lanciare velate frecciate all’etica del commercio.
Un Esempio di Resilienza Culturale
Oggi, sebbene il pazzariello non esista più nella sua forma originaria, la sua eredità vive attraverso artisti di strada, manifestazioni folkloristiche e rievocazioni storiche. La sua figura rappresenta un monito della straordinaria capacità dei napoletani di reinventarsi, trasformando ogni difficoltà in un’opportunità per creare bellezza e allegria.
Il pazzariello non era solo un uomo che annunciava l’apertura di una cantina o il ribasso della pasta.
Era l’anima di una città che, nonostante le difficoltà, non ha mai smesso di sorridere. E quel sorriso, tramandato attraverso generazioni, continua a illuminare Napoli e i cuori dei suoi abitanti.
Pasquale Terracciano: L’erede della tradizione
Pasquale Terracciano è stato l’ultimo baluardo di una tradizione secolare, incarnando il ruolo del pazzariello con dedizione e passione fino ai suoi ultimi giorni. Terracciano non era solo un giullare, ma anche un cantastorie e un pilastro della musica popolare napoletana. Nato e cresciuto in una Napoli in cui il folklore era parte integrante della vita quotidiana, Pasquale ha fatto della sua figura un mezzo per raccontare le lotte sociali e operaie, dimostrando che il pazzariello non era solo un uomo di spettacolo, ma anche una voce del popolo.
La sua scomparsa, avvenuta all’età di 65 anni, ha lasciato un vuoto nella cultura partenopea. Ricoverato presso l’Ospedale Cardarelli, Terracciano è morto durante la pandemia di COVID-19, portando con sé un pezzo di storia che difficilmente potrà essere ricostruita nella sua autenticità.
L’eredità culturale del Pazzariello
Pasquale Terracciano rappresentava l’essenza del pazzariello: un uomo vestito in modo appariscente, con la capacità di trasformare una strada affollata in un palcoscenico e i passanti in spettatori incantati.
Con la sua voce possente e il suo spirito ironico, incarnava i valori del pazzariello tradizionale, adattandoli però a un contesto moderno. Non si limitava a intrattenere: attraverso il suo lavoro, raccontava storie di resistenza, di dignità e di appartenenza, rendendo omaggio alle radici profonde della cultura popolare napoletana.
Un simbolo che resiste nel ricordo
Con la scomparsa di Pasquale Terracciano, il pazzariello perde il suo ultimo rappresentante autentico, ma non il suo significato. Napoli continua a ricordare questa figura con affetto, riconoscendola come parte integrante della sua identità. Il pazzariello non è solo un ricordo del passato, ma un simbolo della resilienza e della creatività del popolo napoletano.
Le nuove generazioni, pur vivendo in una realtà profondamente diversa, possono trovare ispirazione nella figura del pazzariello per riscoprire le proprie radici culturali e valorizzare il patrimonio storico di Napoli. Pasquale Terracciano ci lascia con un’eredità che non può essere dimenticata: l’arte di far sorridere, l’ironia come arma contro le difficoltà, e l’amore per una tradizione che ha attraversato i secoli.