Nel cuore della Napoli medievale, quando le grandi famiglie patrizie intrecciavano il proprio destino con quello della città, la casata dei Toraldo brillava per potere e antichità. Si narra che le sue origini affondino nelle terre del Nord, al seguito delle armate sveve, e che il loro nome — composto da parole germaniche che evocano l’immagine di una “vecchia porta” — simboleggiasse la soglia tra il mondo materiale e quello dell’ignoto. I Toraldo non erano solo custodi di ricchezze e titoli: erano uomini di guerra, religione e cultura. Napoli li accolse nel suo Seggio di Nilo, tra le famiglie più illustri, e le loro vicende si intrecciarono a doppio filo con la storia stessa del Regno.
La storia che vi vado a raccontare è conosciuta anche come la leggenda di Donnalbina, Donna Romita e Donna Regina e dei luoghi di Napoli ancora presenti che le ricordano.
Tre sorelle, un unico destino
Nel 1320, durante l’età d’oro del regno angioino, Napoli viveva una fioritura culturale senza precedenti. Il sovrano Roberto d’Angiò, detto il Saggio, promuoveva arti e lettere, richiamando alla sua corte filosofi, pittori, architetti. Fu in questo contesto di splendore che la tragedia delle tre figlie del barone Toraldo si compì, in una spirale di bellezza, amore e condanna.
Donna Regina, la primogenita, era una figura di rara austerità e bellezza statuaria: alta, dallo sguardo deciso, i capelli corvini raccolti con rigore, simbolo vivente della continuità dinastica. La seconda, Donna Albina, era l’anima gentile della casa: chiara di pelle come porcellana, occhi azzurri come zaffiri e un sorriso che portava pace. La più giovane, Donna Romita, possedeva la freschezza acerba dell’adolescenza: riccioli dorati, occhi verdi mutevoli e un temperamento fragile, provato dalla perdita precoce dei genitori.
Con la morte improvvisa del barone Toraldo e della sua consorte, le tre sorelle si ritrovarono sole a custodire il nome della famiglia. La loro esistenza, fatta di preghiere, compiti nobiliari e devozione, venne sconvolta da un evento destinato a spezzare per sempre l’equilibrio.
L’uomo che distrusse l’armonia
Fu durante una sontuosa adunanza a corte che il destino presentò il suo conto. Le sorelle conobbero Don Filippo Capece, giovane cavaliere della nobiltà angioina. Bello, elegante e dotato di una parola seducente, conquistò i cuori delle tre sorelle in un solo giorno. Uno sguardo per Regina, un gesto sfiorato per Albina, una parola gentile per Romita. Tre anime trafitte dallo stesso dardo d’amore.
Da quel momento, le stanze del palazzo si riempirono di silenzi, tensioni e lacrime. La casa Toraldo, un tempo rifugio di pace e orgoglio, divenne teatro di un dramma muto e doloroso. Le sorelle, incapaci di confessare apertamente il proprio amore, si allontanarono l’una dall’altra, vivendo giorni di tormento consumate dalla gelosia e dal rimorso.
La rinuncia, il sacrificio, l’eternità
Arrivò la Pasqua. E con essa la catarsi. Le tre sorelle si riunirono nella grande sala del palazzo. Con voce tremante ma risoluta, decisero di rinunciare all’amore terreno per salvare ciò che restava del loro legame e dell’onore familiare. Nessuna avrebbe sposato Don Filippo. Nessuna avrebbe tradito le altre.
Donna Regina, in un gesto simbolico, spezzò lo scettro ereditato dal padre e proclamò la fine della loro stirpe. La discendenza dei Toraldo si sarebbe estinta con loro. Ma non il ricordo. Non il dolore.
Tre conventi, tre apparizioni dove si trovano a Napoli
Ciascuna sorella intraprese allora un cammino spirituale solitario.
Chiesa di Santa Maria Donnaregina vecchia
Donna Regina si ritirò in un monastero che divenne il nucleo di quello che oggi conosciamo come Donnaregina Vecchia, un luogo sacro immerso nell’arte gotica e nella memoria collettiva della città.
Chiesa di Santa Maria Donnalbina
Donna Albina fondò il suo ordine nella zona di Monteoliveto, presso quella che sarebbe diventata la chiesa di Santa Maria Donnalbina
Chiesa di Santa Maria Donnaromita
Donna Romita diede vita a un cenobio nel quartiere Porto, in quello che fu il complesso della Chiesa di Donnaromita, oggi ridotto a un guscio sconsacrato che pare ancora sussurrare il suo nome.
Le anime che non trovano pace
Da allora, si dice che i fantasmi delle tre sorelle vaghino ancora tra i vicoli più antichi di Napoli. Appaiono nelle notti di luna velata, nei pressi della statua del Nilo, antico simbolo del loro seggio. Nessuno le sente parlare, ma tutti le percepiscono: tre figure evanescenti che si cercano senza mai riuscire a toccarsi, divise da un amore mai vissuto e da una promessa non infranta.
I passanti giurano di avvertire un gelo improvviso al loro passaggio, di vedere veli fluttuare nel nulla o di scorgere, nel riflesso di una vetrina, tre donne vestite d’ombra, con gli occhi pieni di malinconia.
Napoli, città delle anime sospese
La storia delle figlie del barone Toraldo è diventata leggenda. Ma come tutte le leggende napoletane, contiene il seme della verità, custodita nei marmi, nei chiostri e nelle pietre antiche. È una storia d’amore che non si è mai compiuto. Una tragedia che Napoli non ha mai dimenticato. Un sussurro eterno tra le mura della città, che ci ricorda che a volte, anche i fantasmi piangono.