A partire dal XVI secolo, Napoli si affermò come uno dei principali centri europei per lo sviluppo delle arti, con un ruolo di spicco nel campo musicale. Durante il Cinquecento, nella città sorsero ben quattro Conservatori, a cui si affiancarono, nella prima metà del Seicento, numerosi teatri prestigiosi. Questa crescita rese Napoli la vera Capitale della musica in Europa tra il XVII e il XVIII secolo. I Conservatori partenopei favorirono la nascita di una solida tradizione operistica, promuovendo il ricambio generazionale e sostenendo la formazione continua di compositori, librettisti, cantanti e strumentisti di altissimo livello. Con il termine Scuola musicale napoletana o Opera napoletana si indica proprio questa tradizione teatrale e musicale, sviluppatasi ininterrottamente dalla seconda metà del Cinquecento fino ai primi decenni del Novecento.
Napoli, con la sua storia millenaria di contaminazioni culturali, ha dato vita a un patrimonio musicale unico al mondo, dove la tradizione popolare si intreccia con l’arte più autentica. Gli strumenti musicali della tradizione partenopea non sono solo mezzi per creare melodie, ma vere e proprie estensioni dell’anima del popolo, capaci di raccontare storie, emozioni e riti antichi. Alcuni di questi strumenti sono nati proprio tra i vicoli della città, altri sono arrivati da lontano e, nel tempo, si sono radicati profondamente nell’identità musicale napoletana. Scopriamo insieme quali sono i principali strumenti tipici napoletani
Putipù: il tamburo a frizione dell’anima popolare
Tra gli strumenti a percussione napoletani uno dei più famosi è certamente il putipù.
Il putipù è forse lo strumento più caratteristico e iconico della tradizione popolare napoletana. Conosciuto anche come “pernacchiatore”, è costituito da un contenitore cilindrico (in latta, terracotta o legno) coperto da una membrana di pelle o vescica animale, attraversata da un’asta. Sfregando l’asta con le mani umide o con uno straccio bagnato, si produce un suono profondo, gutturale e ritmato, che accompagna canti popolari, tammurriate e feste di paese. Il putipù è il simbolo della vitalità e dell’ironia napoletana, capace di trasformare un suono apparentemente rozzo in una vera e propria espressione artistica.
Spesso era utilizzato anche dal Pazzariello e c’è una scena anche in un film di Totò L’oro di Napoli. Lo utilizza anche Nino Taranto durante una esibizione dove canta ho comprato una caccavella in occasione dell’acquisto di una casetta a Lucrino poco lontano da casa mia.
Colascione: il suono profondo dell’antica tradizione
Il colascione è uno strumento a corda tipico dell’Italia meridionale, fortemente radicato anche nella tradizione musicale napoletana. Caratterizzato da un lungo manico e da una cassa armonica tondeggiante, il colascione veniva utilizzato per accompagnare canti popolari e ballate narrative. Il suo suono grave e vibrante, ottenuto pizzicando le poche corde tese, donava una base ritmica e melodica essenziale alle esecuzioni tradizionali.
Nei vicoli di Napoli, il colascione era spesso suonato da cantastorie e artisti ambulanti, diventando parte integrante della vita quotidiana e della cultura orale. Sebbene oggi sia meno diffuso, resta una testimonianza preziosa della ricchezza musicale partenopea, capace di evocare con poche note l’atmosfera autentica di un tempo.
Triccheballacche: il ritmo allegro dei vicoli
Il triccheballacche è uno strumento a percussione tanto semplice quanto geniale, formato da tre martelletti di legno fissati su una base che, battendo l’uno contro l’altro, producono un suono secco e cadenzato. Utilizzato soprattutto nelle esibizioni di strada e durante le feste popolari specialmente a Carnevale, il triccheballacche è l’incarnazione sonora della gioia e della spontaneità partenopea. Il suo ritmo incalzante accompagna spesso le tarantelle e le scenette comiche, rendendolo uno degli strumenti più amati dai bambini e dagli artisti di strada.
E’stato usato anche nella rappresentazione della antica canzone popolare Michelemmà del XVII secolo scritta durante le prime invasioni turche.
Scetavajasse: la sveglia dei sensi
Lo scetavajasse, letteralmente “sveglia ragazze”, è uno strumento provocatorio e vivace. Si tratta di un bastone di legno sul quale sono fissati piatti metallici o sonagli che, agitati con forza, producono un frastuono pensato per attirare l’attenzione, risvegliare i sensi e animare l’atmosfera. Utilizzato nei cortei festivi e nelle serenate improvvisate, lo scetavajasse è legato alla tradizione del corteggiamento e della burla amorosa, elementi fondamentali della cultura napoletana.
Si chiama così perché veniva usato per richiamare all’ordine le domestiche di casa. Sceta sta appunto per sveglia e vajasse parla del termine vaiassa una donna maleducata e rissaiola parente prossima della vrenzola di cui abbiamo già parlato in un altro articolo.
Tammorra: il battito ancestrale della terra
La tammorra è un tamburo a cornice di grandi dimensioni, costruito con una cornice di legno e una pelle animale tesa, spesso arricchita da cimbali metallici inseriti lungo il bordo. Suonata prevalentemente con le mani nude, la tammorra è lo strumento regina delle feste religiose e delle danze popolari, come la tammurriata. I suoi ritmi ipnotici e potenti evocano antichi riti pagani legati alla fertilità e alla natura, ancora oggi vivi nelle celebrazioni popolari della Campania.
Ricordiamo la bellissima canzone Tammurriata nera forse una delle più belle canzoni popolari napoletane.
Tra gli artisti napoletani che hanno reso celebre la tammorra ricordiamo Renato Carosone, Roberto Murolo ed Enzo Avitabile. Bellissimo anche un album di Eugenio Bennato dedicato alle villanelle popolaresche del 500 in cui Gigi De Rienzo suona la tammorra
In onore della Tammorra è stato creato l’evento La notte della Tammorra il più grande festival della musica napoletana che ha preso il posto della festa di Piedigrotta diretta da Carlo Faiello.
Tamburello: l’eco della gioia popolare
Simile alla tammorra ma più piccolo e maneggevole, il tamburello è uno strumento versatile, usato sia nelle danze che nelle canzoni popolari. Grazie ai suoi suoni agili e cristallini, il tamburello accompagna con leggerezza canti d’amore, nenie malinconiche e balli sfrenati, mantenendo sempre un ruolo centrale nell’orchestrazione spontanea delle feste partenopee.
Tra gli artisti che hanno valorizzato negli ultimi anni questo strumento non possiamo non ricordare Tullio De Piscopo e Tony Esposito
Mandolino napoletano: la voce lirica del Vesuvio
Non si può parlare di strumenti musicali napoletani senza menzionare il mandolino, icona mondiale della canzone partenopea. Con la sua cassa armonica bombata e le sue corde sottili e vibranti, il mandolino è capace di tessere melodie dolci e struggenti che parlano d’amore, nostalgia e passione. Strumento prediletto da grandi interpreti e poeti, il mandolino è ancora oggi il cuore pulsante della musica napoletana tradizionale e moderna.
Mi viene in mente la bellissima parte di mandolino nella canzone Suonno d’Aiere di Pino Daniele in cui Pulcinella parla di come è cambiata la città di Napoli. Un pezzo bellissimo che vi invito ad ascoltare se non lo conoscete.
Ciaramella: il richiamo ancestrale delle montagne
La ciaramella è il più antico tra gli strumenti a fiato napoletani ed è praticamente un oboe popolare di legno, dal suono acuto e penetrante, spesso utilizzato insieme alla zampogna. In pratica è quella specie di flauto che suona l’altro zampognaro.
Appartiene alla famiglia dell’Oboe e viene chiamata anche pipita come chiamavamo a Napoli il calciatore Gonzalo Higuain anche se non c’entra nulla.
Sebbene più tipica delle aree interne della Campania, la ciaramella ha avuto un ruolo importante anche nella tradizione musicale napoletana, specialmente durante il periodo natalizio, quando i pastori scendevano in città per suonare novene e canti devozionali.
Conclusione: un patrimonio vivo e pulsante
Gli strumenti musicali popolari napoletani sono molto più di semplici oggetti sonori: sono testimoni di una cultura viva, vibrante e profondamente radicata nell’identità del popolo partenopeo.
Ancora oggi, tra i vicoli, le piazze e le feste, è possibile ascoltare le voci antiche di questi strumenti, che continuano a raccontare, con passione e vitalità, la storia eterna di Napoli.
Speriamo che questa tradizione continui ad essere tramandata ai giovani e vengano istituite delle apposite scuole che continuino ad insegnare a suonare questi strumenti per evitare che si perdano nel corso del tempo.